Meravigliosi anni '60 , permeati di entusiasmo, dove tutto era
possibile; le case si tuffavano con slancio verso nuove sfide , le
farraginose strategie di marketing a tavolino erano al di là da venire;
Canon Inc. e Nippon Kogaku trovarono un fertile terreno di sfida per la
supremazia ottica nella luminosità massima degli obiettivi, dato che di
per se stesso non è tutto, ma come nessun altro solletica l'immaginario
dell'utente, come gli straripanti Kw di potenza di un'auto sportiva; del
resto nell’era dei 15 DIN la luminosità massima era un plusvalore più
importante della correzione ottica globale.
Nikon
mise il diamante alla corona della sua splendida SP a telemetro col
Nikkor 50mm f/1,1 , ardito schema a 9 lenti con elementi sottili che
rendevano la lavorazione al limite del praticabile; Canon non accusò il
colpo a lungo; i tecnici lavorarono sullo schema doppio Gauss,
impiegando i nuovi vetri al Lantanio ad alta rifrazione per trovare un
compromesso sulla aberrazione sferica, tipica con queste aperture e
diametri di lenti , senza ricorrere a curvature paraboliche (lenti
asferiche) la cui lavorazione, a quei tempi, presentava costi non
praticabili; ulteriori difficoltà per i progettisti furono rappresentate
dal ridotto diametro dell’attacco sul corpo macchina (che limitava
l’impiego di lenti posteriori di grandi dimensioni) ed i limiti
dimensionali imposti per il barilotto esterno, necessari per mantenere
libera la visione del mirino galileiano.
Nel 1961
vide infine la luce (è proprio il caso di dirlo...) l'incredibile Canon
50mm f/0,95, immediatamente ribattezzato Canon Dream o Dream Lens; mai
era stato prodotto in serie un obiettivo di tale luminosità, al di là
dell'incredibile barriera psicologica di f/1....Naturalmente altri
obiettivi hanno sfoderato aperture geometriche anche maggiori; così a
memoria citiamo lo Zeiss Planar 50mm f/0,7 concepito su richiesta della
NASA e reso eterno dall’inarrivabile Kubrick oppure gli obiettivi per
ripresa X-Ray, ricordando in ordine sparso i vari Canon XI 65mm f/0,75,
De Oule Delft Rayxar 50mm f/0,75, Kowa Xray 55mm f/0,8, Leitz repro
x-ray 65mm f/0,75, Rodenstock TV ed XR Heligon f/0,75 o certi FR-Nikkor
per ripresa su schermi fluorescenti così come ottiche più o meno
misconosciute come i vetusti Leitz Summar 7,5 cm f/0,85 e 15cm f/0,85
del tempo di guerra o i misteriosi catadiottrici sovietici risalenti
alla guerra fredda con specchio primario in berillio argentato che pare
arrivassero anche ad f/0,5; tuttavia si tratta sempre di obiettivi
specialistici, dal costo elevatissimo e comunque progettati per una
nicchia di utilizzo estremamente circoscritta (con apertura di lavoro,
rapporto di riproduzione, lunghezza d’onda della luce accuratamente
prefissati, etc.) mentre il Canon 50/ f/0,95 è l’unico obiettivo
prodotto in quantità ragionevoli e previsto per l’uso generico; basti
pensare che è persino presente il punto di fede per la messa a fuoco con
materiale sensibile all’infrarosso...
Il
know-how accumulato in questo entusiasmante progetto sarà poi utile a
Canon nell’era Pellix, quando l’ottica normale e retrofocus verrà spinta
ad f/1,2 per supplire all’assorbimento dello specchio semitrasparente;
l’apogeo della maturità tecnica verrà toccato nel 1971 con l’FD 55mm
f/1,2 SSC Aspherical, mostro ad 8 lenti flottanti con superficie della
seconda lente a lavorazione asferica, riconosciuto da esperti di fama
mondiale del calibro di Erwin Puts come il migliore normale luminoso mai
realizzato, in grado di surclassare nomi mitici come il Noctilux 50mm
f/1,2.
Torniamo
all’originale 50mm f/0.95; questo gioiello, nato per i modelli a
telemetro Canon 7 e Canon 7S , costava all'epoca l'impegnativa cifra di
57.000 Yen, andava in macchina con una speciale baionetta a collare che
s'interfacciava alle flangie supplementari esterne dell'attacco
macchina, più robuste dell'attacco a vite coassiale normale (erano nate
per il lunghi fuochi) e adatte a sopportare il massiccio peso
dell'obiettivo (605 gr).
L'ottica
si imponeva con la sua spropositata lente frontale (passo filtri 72mm),
focheggiava fino ad 1m e presentava un bel diaframma a 10 lamelle;
l'antiriflessi singolo richiede pietà nel controluce o in luce ambiente
in presenza di luci puntiformi; da notare che la lente posteriore è così
grande che è tagliata nella parte alta (dove la proiezione sarebbe fuori
campo dal fotogramma) per lasciare posto ad una camma di ottone per
azionare il telemetro a funzionamento rettilineo, così come avviene nei
135mm Leitz; la finitura esterna è sobria con una laccatura nera lucida
applicata anche alla ghiera di messa a fuoco, dotata di sbalzi godronati
in rilievo; due anelli satinati chiari alleggeriscono il profilo e
riportano i punti di fede per messa a fuoco e diaframma ed i riferimenti
della profondità di campo; questa finitura verrà ripresa anche nei
successivi obiettivi Canonmatic R.
Purtroppo parte della trista fama che adombra lo 0,95 è legata alla
ridotta base telemetrica del corpo macchina Canon, non sufficiente a
garantire una messa a fuoco precisa a brevi distanze con f/0,95, dove la
profondità di campo è davvero nulla; ad inizio anni '90 sono riuscito ad
adattare l'ottica per impiegarla sulle mie Leica M; eliminando la
baionetta a collare esterna ed applicando un anello Leica 14097
l'accoppiamento è senz'altro possibile, l'esposizione è TTL, l'anello
Leica inserisce l'apposita cornicetta 50-75mm e - dulcis in fundo - il
telemetro è perfettamente compatibile perchè Canon aveva copiato lo
standard Leica M; in tal modo si usufruisce della base telemetrica Leica
di 49,9mm (con modelli standard 0,72), più che sufficiente alla bisogna
con comoda esposizione TTL.
E’
invece impossibile adattare l’obiettivo ad un apparecchio reflex
nonostante il ridotto diametro dell’attacco; infatti il tiraggio focale
all’infinito – ridottissimo, proprio dei modelli a telemetro e simile a
quello delle Leica TM – è di 28,8mm , fattore che se da un lato agevola
il progetto ottico dall’altro preclude la via ad altri montaggi
fantasiosi; nessuno vieta, comunque, di appoggiare manualmente l’ottica
alla baionetta di una reflex e di eseguire macro d’effetto sfruttando
proprio l’elevatissima apertura e le aberrazioni residue per immagini
fascinose con una ridottissima zona a fuoco, soprattutto con corpi
digitali che permettono la visualizzazione istantanea dell’effetto.
L'obiettivo è effettivamente più luminoso del Noctilux; come ho potuto
appurare, quando la Leica M6 col Canon 50mm f/0,95 dà esposizione
corretta, montando il mio Noctilux 50mm f/1 si spegne uno dei led,
richiedendo una ulteriore apertura del diaframma.
Pochi
sanno che all'epoca Canon realizzò una intera gamma di obiettivi f/0,95
dedicati alle riprese TV o a video a circuito chiuso; non ho potuto
conoscere la gamma di focali disponibili e la reale copertura di
formato, suppongo inferiore al 24x36; questa ipotesi però è contraddetta
da una immagine del 50mm f/0,95 in versione TV, come appare dalla
didascalia frontale dell'ottica, che è del tutto simile alla versione
per Canon 7 con la semplice aggiunta di un anello adattatore.
Come
lavora sul campo? Vignetta senz'altro meno del Noctilux 50mm f/1,0,
grazie alla lente anteriore enorme (di contro il barilotto è un po'
intrusivo nell'inquadratura); l'antiriflessi aleatorio crea un po' di
flare attorno alle luci artificiali, ma questo pùò anche creare
atmosfera; il contrasto a TA è molto inferiore a quello del Noctilux, ma
il coma nel Canon è senz'altro meno evidente; a diaframmi centrali la
nitidezza è buona, non certo grintosa come nel Summicron 50/2 per un
residuo di aberrazione sferica, che d’altro canto connota l’obiettivo
con passaggi allo sfuocato abbastanza dolci e graduali, gradevoli; gli
angoli estremi restano sempre impastati a tutte le aperture ed i colori
sono un po' caldi, ma il rendimento globale è accettabile, considerando
l'anzianità e l'arditezza del progetto; certamente le versioni meno
luminose Canon 50/1,2 e soprattutto 50/1,4 presentano una resa
globalmente superiore, tuttavia non si può negare a Canon l’eccezionale
impatto mediatico di questa realizzazione, la prima arma non
convenzionale contro le tenebre; una vetrina certamente prestigiosa per
l’ancora giovane brand nipponico.
(MARCO CAVINA)
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